I. Dottrina sociale della Chiesa: lavoro e persona


L’attività delle Acli trae alimento e ispirazione diretta dallo studio della Dottrina Sociale della Chiesa. La riflessione finora condotta, da cui scaturisce la nostra proposta, è iscritta in questa traiettoria. Da questa base traiamo la convinzione che le grandi trasformazioni del mondo del lavoro possono essere orientate verso l’autentico progresso dell’uomo e della società se vengono guidate e animate da una cultura del lavoro di tipo personalista e solidarista, aperta alla dimensione trascendente. La dignità dell’uomo, del lavoro e i suoi diritti possono essere rispettati, tutelati e promossi solo se si fa riferimento a visioni, atteggiamenti etici, scelte in sintonia con la verità integrale dell’uomo, della storia, della stessa esperienza del lavoro10. Nell’enciclica Caritas in Veritate Benedetto XVI sviluppa questo tema della dignità del lavoro connettendola alla questione della povertà. Infatti al n. 63 si afferma: «I poveri in molti casi sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano, sia perché ne vengono limitate le possibilità (disoccupazione, sotto-occupazione), sia perché vengono svalutati “i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia”». È la soggettività del lavoro che gli conferisce una radicale elevatezza morale e una dignità inalienabile, impedendo di considerarlo come semplice merce, come elemento impersonale dell’organizzazione produttiva e del mercato. Il lavoro è un’espressione essenziale della persona: ogni forma di materialismo ed economicismo che tenda a ridurlo a puro strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, mirando al solo valore economico, ne snaturano l’essenza privandolo del suo contenuto più nobile e profondamente umano11. La soggettività del lavoro è il fondamento per determinare il valore del lavoro. Il metro della dignità del lavoro risiede in chi lo svolge e non tanto nel genere di lavoro che compie: il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro12. L’uomo nella sua esistenza e finalità eccede il lavoro. Egli ha il primato sul lavoro e questo non può essere il suo fine ultimo. Secondo la Dottrina Sociale della CHIESA l’uomo è per Dio per cui il lavoro non può diventare per lui un idolo, l’unico scopo della vita. Indipendentemente dal suo contenuto oggettivo, il lavoro deve essere subordinato e finalizzato al suo soggetto, ossia alla realizzazione della sua umanità e al compimento della sua vocazione ad essere persona. Lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo rimane sempre l’uomo stesso13. Il lavoro è per l’uomo un bene: un bene utile, degno di lui, cioè capace di esprimere ed accrescere il suo essere globale. È un bene dell’uomo mediante il quale si acquista il diritto alla proprietà, si può formare e mantenere una famiglia, si contribuisce alla creazione del reddito nazionale, al bene delle generazioni future e al bene comune mondiale della famiglia umana. In questa prospettiva il lavoro deve essere reso accessibile a tutti quelli che ne sono capaci: ai giovani, alle donne, agli immigrati, ai portatori di handicap, a quelli che vivono in situazioni di disagio psicologico e sociale. Oggi tuttavia costatiamo come sia in atto un grande conflitto tra mondo del capitale e il lavoro; ossia tra gruppi ristretti, ma molto influenti, di intermediari dei mezzi economico-finanziari o di proprietari di conoscenze e tecniche decisive per lo sviluppo, e la vasta moltitudine che partecipa all’economia reale e ai processi produttivi mediante il semplice lavoro o il piccolo azionariato. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato, oltre che da altri elementi di sfruttamento, «dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori e, che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai14». Attualmente, il conflitto si arricchisce di nuovi aspetti forse più preoccupanti. Il capitale entra in collisione con il mondo del lavoro giungendo a sfruttarlo e a destrutturarlo. Siamo in presenza di comportamenti imprenditoriali tesi a diminuire l’impiego, grazie all’acquisizione di macchinari che rendono superflue tante mansioni, a realizzare investimenti in borsa senza darsi eccessiva preoccupazione per il destino dei dipendenti e dei piccoli azionisti. La crisi in cui siamo immersi ha mostrano in modo inequivocabile come questo modello, questo modo di intendere il rapporto capitale-lavoro vada superato per restituire al lavoro la sua centralità. La Dottrina Sociale della Chiesa sottolinea come ci debba essere una priorità indiscussa del lavoro nei confronti del capitale15. Nel processo di produzione l’uomo che lavora ha il primato di fronte alle cose e di fronte al capitale, dato che questo in definitiva è un insieme di cose. Il che implica che si abbia una particolare cura per la risorsa umana, per il capitale singolarissimo che è il lavoratore da considerare come «il patrimonio più prezioso dell’azienda16». Corriamo il rischio che sempre più il lavoro perda quell'aspetto d’umanità che lo sottrae dal divenire pura merce, da vendersi in cambio di un salario, di una prestazione monetizzabile. Considerato che il lavoro occupa una parte importante nella vita delle persone, se si perde la dimensione di senso, lentamente e progressivamente, si sarà portati a considerare le stesse persone come semplici strumenti con tutto quello che questo comporta. Una concezione del lavoro di questo tipo è lontana dall’idea del bene comune che riconosce al lavoro un ruolo centrale. Interrogarci sul senso del lavoro per le Acli non è un puro esercizio intellettuale, ma un modo per impegnarci sul terreno della libertà e della dignità. Avere la consapevolezza culturale, morale e spirituale del significato che per ciascuno/a ha il lavoro significa riposizionarsi continuamente rispetto a quest’ultimo e pertanto impegnarsi a creare le condizioni di un’espressione di sé, delle proprie capacità, competenze, risorse e desideri. La possibilità di modificare la realtà sia in senso soggettivo (le relazioni di lavoro) che oggettivo (il più generale contesto di lavoro, le forme contrattuali), nasce da questa ricerca di consapevolezza. Bisogna cercare di invertire la rotta e proporre un’idea di persona intesa come intreccio di corporeità e spiritualità, d’individualità e di relazione, ma soprattutto come essere capace di creare, progettare e partecipare al disegno liberante della creazione. Andare in questa direzione significa anche recuperare il senso del tempo entro cui le varie attività della vita si svolgono: il tempo non può essere ridotto solo a tempo-lavoro. L’uomo “faber” di questi nostri tempi ha un bisogno urgente di riscoprire la dimensione della festa, della lentezza, della contemplazione. Solo così si riuscirà a ristabilire la centralità della persona sottraendosi alla logica del consumo, dello sfruttamento, dell’illegalità. La Bibbia c’insegna che il sabato, il giorno della festa, è stato creato per il povero come annuncio della sua liberazione.